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La vita, la morte, l'eredità, la roba. Le regole del sangue. Un mondo posseduto da riti primitivi e passioni inestinguibili, un mondo di uomini dolci come il miele e feroci come animali, attaccati con pelle e unghie alla terra. Questo mondo e la sua epopea di donne devote, di gente che si toglieva il pane di bocca per amore della roba, rivive nelle pagine del romanzo che il nonno Aurelio, uomo di fede repubblicana e mangiapreti, incitava l'autore a scrivere, e che è intitolato alla fortuna. Nella fortuna il vecchio aveva sperato per ricostituire il patrimonio che il capostipite, nonno Arcangelo, aveva dilapidato, tra amori e odi, grandezze e miserie. Aurelio, prossimo alla morte, aveva mostrato al nipote prediletto delle schegge di legno dorato, donate a lui da Arcangelo; le aveva conservate in gran segreto nella disperata speranza che potessero tornare a essere le ali dell'Arcangelo Michele, il protettore del capostipite, e riportare la famiglia agli antichi splendori liberandola finalmente dal fato avverso e crudele. Le parole dell'autore ne hanno tramandato la memoria ai discendenti di Arcangelo e Aurelio. Anche se non saranno mai più proprietari del Regno di Colle di Pietra, la terra nessuno riuscirà più a sottrargliela. Questo è un romanzo sulla memoria e fatto di memoria, una scrittura che viene dalla terra dura e arcigna, ma che trascende l'autore perché vive di vita propria. È la storia di un'intera esistenza.